Esperienza ed entusiasmo, voglia di mettersi in gioco e paura di sbagliare. Non sono questi i temi su cui ci confrontiamo quando, sul lavoro, vogliamo essere riconosciuti e vogliamo lasciare il segno?
Spesso, oramai sempre più, mi ritrovo a lavorare su temi che attengono il fatidico “scontro generazionale”, abbiamo già scritto sul tema raccontando come la generazione dei giovani (dai 30/35 in giù), sia lontana anni luce dalla generazione precedente, separata da competenze attinenti il mondo digitale, portatrice di un’idea di mondo che, per certi versi è più vicina (con tutti i collegamenti possibili sia online, che grazie ad un diverso modo di viaggiare) e per altri versi è più spaventata, forse disillusa dalle possibilità che il mondo che ci si trova davanti sembra offrire.
Sicuramente quella voglia di poter dire la loro e di sentirsi con un feroce desiderio di essere coinvolti, fare carriera, dire la cosa giusta al momento giusto, apparteneva anche a noi alla loro età.
Vi ricordate quando si arrivava con tutti i concetti freschi di studi e si pensava che Tu e solo pochi altri avevano la soluzione corretta?
Cosa realmente sta cambiando e, a mio avviso, rischia di divenire rischioso, è che non si valuti più quel giusto apporto del “sapere fare le cose”.
“Sapere fare le cose” attiene ad un elemento che ha sì a che fare con le competenze acquisite, ma ha ancor di più a che fare con l’acquisizione di elementi di analisi e comprensione del contesto che sono collegati maggiormente all’esperienza.
Non fraintendetemi, non sto tirando acqua al mio mulino di non più giovanissima, al contrario. Sto riflettendo sul fatto che muoversi in un era dove le variabili da analizzare sono sempre maggiori, dove la complessità è diventato un nuovo paradigma da tenere in considerazione, necessita la volontà di allenarsi alla fatica.
La fatica di non comprendere immediatamente, la fatica di voler andare ad approfondire i temi, la fatica di non lasciarsi andare a semplificazioni.
La fatica di mettersi in discussione e parlare ed avvicinarsi con umiltà, ma sempre con una grande curiosità alle generazioni dei giovani, quelli che sembrano distratti, quelli che sembra che non ti ascoltino, per portarli a comprendere che è solo con l’integrazione delle diverse competenze ed è solo con una forte dedizione che ci si può allenare a guardare il mondo da diverse angolature e si può prendere spunto, in quel momento si, a decidere cosa e come si vuole crescere.
Considerando la crescita come un processo che non si interrompe alla soglia dei quarant’anni. La crescita è data dalla voglia continua di stupirsi e di approfondire scoprendo sempre nuove possibilità, sia di comunicazione che di conoscenza.
In questo momento, dove sembra che la paura ci attanagli, lasciamoci trascinare dall’entusiasmo della nuova generazione e a questa, senza la strenua volontà di applicare processi gerarchici, affidarci per nuove forme di collaborazione e di commistione di punti vista e di voglia di approfondimento.
Viaggiare nella conoscenza è da sempre il viaggio più entusiasmante.
Nessun commento