Mi alzo al mattino e dopo i primi 5 minuti di intontimento e rallentamento motorio associato alla fisiologica lenta attivazione di tutte le mie facoltà fisiche e mentali ecco che si parte alla solita corsa, al tran tran quotidiano del mio cervello sempre così indaffarato e desideroso di pensare a 27 cose contemporaneamente, il 50% delle quali riguardano probabilmente il futuro. Siamo continuamente portati a pensare a quello che accadrà, domani, tra qualche mese, tra qualche anno, a cavalcare e addirittura anticipare il cambiamento di questo mondo che va veloce, perché se resti indietro sei finito.

Questo è quello che noi stessi e il mondo che ci circonda si aspettano, correre in avanti. Poi, improvvisamente, nel 2020, tutto irrimediabilmente si ferma, in un silenzio sempre più assordante che la nostra mente non è capace di accettare, che nega e boicotta. E per questo motivo lei stessa cerca di spingerci a riprendere il quotidiano movimento, la continua corsa verso quel futuro con l’illusione di poterlo controllare, e fallisce.

Così percepiamo la stessa frustrazione di un auto con il motore acceso e l’acceleratore schiacciato ma priva di ruote. Beata l’auto però, che la coscienza non ce l’ha.

In questo immobilismo generalizzato dove finiscono la nostra self efficacy, il nostro locus of control interno di cui ci siamo tanto vantati nel nostro CV e nelle interviste per le assunzioni alle posizioni lavorative tanto ambite? Da buon recruiter quale spero di essere, provo a dire a me stessa di concentrarmi su semplici obiettivi raggiungibili in questo periodo, procedendo a piccoli passi in questa incertezza, cercando i migliori candidati e presentando le più belle longlist di sempre alle aziende clienti, nonostante tutto. Ma quell’incertezza irrompe con prepotenza, quando il candidato finalista ti dice che ci ha ripensato, che in questo momento forse è meglio non vivere un cambiamento così grosso come quello di un nuovo lavoro, o ancor peggio quando un’azienda interrompe la ricerca perché hanno deciso che dato il periodo forse è meglio cercare di tamponare all’esigenza di una nuova risorsa con job rotation interne. Ed è così facile, in tutta questa incertezza vedere la tua motivazione sfiorire e lasciarti tentare dall’idea che tanto, tutto quello che fai ha un peso troppo poco rilevante dinanzi all’influenza enorme che ha questo nuovo virus.  Sì, questo è il rischio in cui incorriamo quando siamo abituati a correre dietro al futuro con la presunzione acquisita di poterlo controllare.

Ma pensandoci un attimo, siamo così sicuri che controllare il futuro è quello che ci serve e quello che ci rende felici? Chi mi conosce sa bene quanto sia utile e rassicurante pianificare e sono certamente convinta che avere obiettivi nella vita è fondamentale. Ma credo che attribuiamo davvero troppa importanza a ciò che sarà rispetto a ciò che stiamo vivendo nel momento stesso in cui accade. Imparare a vivere il presente nel presente potrebbe essere invece la risposta al disagio che da un anno a questa parte viviamo e che sembra così difficile da superare, perché diciamoci la verità, la situazione non cambierà nel 2021 con uno schiocco di dita e lo sappiamo.
Natale è ormai alle porte e agli sgoccioli di questo anno forzatamente rallentato ho deciso di farmi un regalo, un presente come dicono gli inglesi, cercando di portare dentro di me ciò che sembra quasi ci è stato imposto: imparare a vivere il presente.

Una citazione dice “ieri è storia, domani è mistero, oggi è un dono, per questo si chiama presente.”

Ho deciso di allenare la mia mente a fermarsi e vivere il presente per quello che è, senza rincorrere il futuro e senza lasciarsi condizionare dal passato. Questa palestra mentale può portare interessanti giovamenti oggi e domani. Non ce ne accorgiamo ma stando con la mente continuamente verso il futuro, lasciandoci assorbire da ciò che per noi è ancora fondamentalmente un mistero, come dice la citazione e occupandoci per buona parte del restante tempo delle cose fatte in passato, rimuginando su errori, su “cosa avremmo potuto fare per…” finiamo per allenarci ad essere stressati, agitati, insoddisfatti, stanchi. Siamo geneticamente programmati a rispondere agli eventi con due modalità, attacco o fuga, e non sappiamo dunque spontaneamente come fermarci nel presente e viverlo a pieno.

Da oltre cinque mila anni gli esperti chiamano meditazione ciò che non è altro che l’opposto dell’allenamento a vagare con la mente che pratichiamo quotidianamente, il focus, l’attenzione al qui ed ora. Grazie alla plasticità neuronale (alla capacità del nostro cervello di modificarsi strutturalmente in funzione alle esperienze che viviamo e ai comportamenti che attuiamo) è possibile potenziare la nostra mente concretamente verso il focus, riducendo quel continuo suo tipico correre in avanti e affaticarsi tra i meandri dell’incertezza del futuro e dei rimpianti del passato. Per questo ho deciso di iniziare a praticare mindfullness, cercando ancora una volta di trarre da questo grande ostacolo qual è la pandemia un’opportunità per rinnovarmi.

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