Spesso su questi canali abbiamo parlato di lavoro femminile e gender gap, uno dei grandi “mali” della società del nuovo millennio. Secondo il Gender Equality Index, infatti, l’Italia si colloca al 15° posto tra gli Stati membri dell’Unione Europea per uguaglianza di genere, ma ottiene il punteggio più basso rispetto all’indicatore “lavoro” posizionandosi all’ultimo posto.

Tale disparità è trasversale a vari ambiti di vita quotidiana e a differenti settori professionali; se guardiamo il mondo del lavoro, è evidente come esista ancora una netta segregazione professionale, che esclude la maggior parte delle lavoratrici dalle discipline STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) e dalla partecipazione al mondo scientifico. Questo vale anche per quanto riguarda l’ambito sanitario, di cui stiamo avendo un’esperienza diretta grazie alla divisione MediCare, nata in collaborazione con DoctorsWork! e specializzata nella selezione di personale medico. Nonostante un maggiore accesso delle donne al settore medico/sanitario, in questo ambito è ancora presente, con forti differenze di genere a livello gerarchico.

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La sanità è sempre più “rosa”, ma solo a certi livelli

Secondo i dati della FNOMCEO (La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), le donne medico sono sempre più numerose sia all’interno delle corsie ospedaliere, sia all’interno delle aule universitarie. Le donne in Italia costituiscono infatti il 56% delle iscrizioni alla Facoltà di Medicina, si laureano con ottimi voti (punteggio medio 107/110) e rapidamente (26,5 anni l’età media alla laurea) e nella fascia d’età 25-40 anni hanno superato gli uomini per iscrizioni agli albi professionali. Ciò si conferma anche nella prevalenza della popolazione femminile nei lavori in ambito sanitario: le donne infatti rappresentano il 70% dei professionisti impegnati nel settore sanitario e sociale.

A leggere questi dati, è chiaro come ci sia un netto miglioramento in termini di rappresentanza dei generi in ambito medico e sanitario. Andando ad approfondire, scopriamo tuttavia che, nonostante la medicina si tinga sempre più di rosa, continua ad essere forte la disparità di genere tra i professionisti sanitari in termini di opportunità di carriera.

È l’effetto del “soffitto di cristallo”, “quella sottile, trasparente ma robustissima pellicola che divide le donne dai posti che contano, li possono sfiorare ma mai afferrare” (Cirese, 2010).

Questo risulta in una maggiore concentrazione di uomini in ruoli apicali e di comando, caratterizzati da maggiori responsabilità, prestigio e da migliori retribuzioni, a scapito del genere femminile, che rimane limitato a posizioni di carattere più operativo e di livello gerarchico inferiore.

Approfondisci questo tema leggendo “Donne in carriera, diritto alla giusta paga e ambizione: ecco le streghe del nuovo millennio”

Univadis Medscape Italia, il portale di informazione per i professionisti della salute, ha condotto una ricerca con il fine di indagare questo fenomeno, evidenziando che, in percentuale, solo il 33% del campione femminile partecipante alla ricerca ricopriva un ruolo apicale, contro il 50% del campione maschile. Ciò è confermato da molti altri dati, come ad esempio quelli riportato dai Conto Annuale Igop – Ragioneria Generale dello Stato del 2019, che evidenziano come le donne costituiscano la stragrande maggioranza del personale infermieristico (78%), mentre solo il 48% dei dirigenti medici con contratto a tempo indeterminato. Queste percentuali calano drasticamente inoltre se si guarda il numero delle dirigenti medico donna che rivestono il ruolo di direttore di struttura (9,1%), contrariamente a quanto rilevato per i dirigenti medici uomini che sono a capo di una struttura semplice o complessa in circa il 21,5% dei casi.

In sintesi, quindi, le donne erogano per lo più l’assistenza, mentre sono gli uomini ad organizzarla e dirigerla, occupando l’80% dei posti di leadership e gestendo, in posizioni dirigenziali, il 69% delle organizzazioni sanitarie (Global Health 50/50, 2020). Come è intuitivo, questa disparità di genere si riscontra non solo nel prestigio e nel livello di responsabilità, ma anche negli aspetti retributivi, con le donne che guadagnano il 30% in meno rispetto ad un loro collega maschio, anche a parità di ruolo.

Gender gap in ambito sanitario: cause culturali e stereotipi di genere

Una volta chiara la situazione attuale, proviamo ora a capire quali sono le (molteplici) cause di questo fenomeno. Una prima spiegazione potrebbe essere ricondotta all’aspetto puramente anagrafico. Secondo quanto emerso dai dati della FNOMCEO, l’incremento di donne nel campo medico è strettamente correlato all’avanzare del periodo storico. Vediamo infatti, che a mano a mano che decresce l’età, aumenta il numero di donne in medicina, arrivando, nelle fasce tra i 30 e i 34 e tra i 35 e 39 anni, quasi a doppiare il numero di colleghi uomini. Progredendo, invece, per fasce di età, il numero di medici di sesso maschile aumenta vertiginosamente. Gli uomini costituiscono quindi la quota maggiore di medici con elevata anzianità lavorativa ed esperienza, elementi che sono spesso centrali nei processi di selezione per le cariche apicali.

Un altro elemento che influisce in maniera consistente è quello legato al bilanciamento tra lavoro e vita privata, un equilibrio che è da sempre difficile per i professionisti sanitari e che è diventato ancora più complesso per le donne a seguito della pandemia, come vedremo prossimamente in un approfondimento su questo tema. Inoltre, le responsabilità di cura della famiglia, che gravano ancora oggi per la maggior parte sulle donne, influiscono negativamente sulla percezione femminile nel mondo del lavoro sanitario: ciò che in realtà è un tentativo di combinare le responsabilità professionali con quelle familiari, trascorrendo più tempo nella cura di famiglia e figli, preferendo contratti di lavoro part-time e avendo percorsi professionali più frammentati, appare ancora oggi come un disinvestimento nella propria carriera.

Oltre a ciò si inseriscono tutta una serie di fattori, come la percezione del ruolo, gli stereotipi di genere, la cornice culturale, le aspettative di ruolo che ancora oggi giocano un ruolo strategico nella manifestazione di questo fenomeno.

Il gender gap viene, inoltre, spesso rimarcato dal comportamento dei pazienti e dei loro familiari che, come emerso dalla ricerca condotta da Univadis Medscape Italia, attribuiscono erroneamente alla donna medico un altro titolo professionale, confondendola con altri professionisti sanitari. Interessante è notare come ciò si verifica anche in senso opposto; spesso, infatti, i pazienti si riferiscono agli infermieri di sesso maschile con l’appellativo “Dottore”. Ogni giorno, all’interno di ospedali, cliniche e studi medici, molti pazienti se hanno di fronte una donna in camice bianco o in divisa, si rivolgono a lei utilizzando l’appellativo “Signorina”, piuttosto che con il proprio titolo lavorativo, cosa che difficilmente accadrebbe nei confronti di un medico di sesso maschile.

È il cartello che a febbraio 2021 è apparso in un laboratorio di vaccinazioni in seguito all’abitudine di molti pazienti di rivolgersi alle dottoresse con l’appellativo “signorina”, chiamando invece gli uomini semplicemente “dottore”.

Ciò che emerge da questi dati è, da un lato un lento ma progressivo miglioramento, con un aumento delle donne che si affacciano alle carriere in ambito sanitario. Tuttavia è chiaro come la strada per l’uguaglianza sia ancora lunga e passi per l’esigenza di ridistribuire in maniera più equa il carico di responsabilità legate alla famiglia e ai figli e di fornire nuovi modelli alle giovani generazioni, di intraprendere programmi di orientamento e di informazione come forma lotta agli stereotipi, volti a ridurre il divario di genere e distruggere quel soffitto di cristallo che ostacola le donne nel raggiungimento di posizioni di leadership.

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