Un fine agosto torrido, come del resto tutta questa estate, mi sta con insistenza cantando alle orecchie melodie ammaliatrici che risuonano tipo: “manca ormai poco all’arrivo del grande freddo…Goditela…non stare lì…prendi pupa e paletta e vai al mare”.
Per fortuna che alla fine il mio lavoro mi piace altrimenti non avrei saputo come opporre resistenza. Approfitto di questa calma che spero apparente (…e breve, Ndr), per riflettere un po’ su di me, su quello che sto facendo e sulla strada che ho intrapreso.
Non so se sia una specie di meccanismo di difesa ma credo che un po’ tutti quelli che si buttano in avventure più grandi di loro lo fanno con un pizzico di incoscienza, senza capire e senza interrogarsi fino in fondo su cosa significherà spiccare quel volo e quali aspettative verranno mosse da quel gesto o da quella iniziativa.
Ecco, questo fine agosto mi sforzo di riflettere su questo. Quando ho deciso di buttarmi nell’avventura di creare una società di ricerca e selezione del personale, non ho pensato che alla fine sarei diventata, volente o nolente, un operatore di un mercato molto particolare dove “ci stiamo dentro un po’ tutti” e che quindi il modo in cui avrei operato e quello che avrei fatto avrebbe avuto dei riflessi oltre al singolo progetto o al singolo lavoro, su persone, aziende e territori.
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Mi stupisco sempre quando qualcuno mi dice di aver sentito parlare di noi, di aver conosciuto qualcuno che ha raccontato la sua esperienza di selezione in SCR o che lavora presso una azienda a seguito di un percorso gestito dalla mia società. Mi stupisco quando mi accorgo che molte delle riflessioni che in questi anni io e la mia socia abbiamo fatto in realtà appartengono anche a tanti nostri colleghi.
Insomma, mi piacerebbe essere la classica mosca che ascolta le conversazioni senza essere vista e sapere cosa si dice in giro.
Qualche volta è così, qualche altra volta invece vorrei essere di più uno struzzo perché sapere che alcune persone hanno aspettative su me e sul mio lavoro, e che quindi io ho delle responsabilità nei loro confronti, un po’ mi spaventa.
Una responsabilità che se pensata e sentita non si può ignorare. E allora scattano mille dubbi: mamma mia, sarò all’altezza? E avrò posto attenzione a quel dettaglio, quella parola, quel segnale? Sarò stata mosca o struzzo?
Mi piacerebbe sapere se questi pensieri sono comuni ai miei colleghi, ma anche a imprenditori di altri settori e a coloro che ricoprono un ruolo attivo sia pubblico che privato nel mercato del lavoro. Mi piacerebbe inoltre conoscere le testimonianze di quelli che hanno deciso di essere più spesso mosca che struzzo, come Osvaldo Danzi di Fior di Risorse, del quale si può dire di tutto tranne che non ci abbia messo la faccia.
Sono anche vostri questi timori? Abbiamo capito che il nostro ruolo è diventato sempre più importante e delicato? Sappiamo essere parte di una rete sociale che aiuta a mantenere alta la dignità di questo mercato? Come partecipiamo o non partecipiamo alle miserie e alle fortune del mondo del lavoro?
Si può fare agricoltura concependo la produzione agricola come una parte di una catena ampia di processi e di concetti che va dall’ecologia, all’amore per la terra, alla necessità di lasciare terreni sani e fertili per il futuro, fino alla cultura del cibo e del benessere delle persone e degli animali. Oppure si può produrre più prodotto possibile, più in fretta possibile, al minor costo, inseguendo il gusto del consumatore e sperando che sia il più possibile uniformato sui medesimi livelli organolettici.
C’è un modo giusto di fare? Non lo so; forse a volte non c’è nemmeno tanto da scegliere.
Però se si sceglie la strada più complessa, quella dove ci si sente attori e parte di un tutto che va valorizzato, credo che occorra essere coerenti con questa scelta, accettarne i vincoli, le responsabilità oltre che le opportunità che questa offre. Credo quindi che si debba anche ammettere di aver cambiato strada quando si cambia atteggiamento, anche quando si ritiene che “non ci sia tanto da scegliere in questo periodo”.
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