All’evento di SCR “Cantieri di Felicità“, cinque relatori si alterneranno sul palco per condividere punti di vista ed esperienze su come il benessere e il coinvolgimento dei lavoratori siano elementi fondamentali per attivare processi di cambiamento efficaci e contribuire alla crescita aziendale.
Con le nostre interviste vi abbiamo già fornito un’anteprima degli argomenti che Marinella Maccarrone, Elisa Morigi e Luigi Pittalis toccheranno nei loro interventi. Oggi vogliamo presentarvi il relatore che aprirà la giornata di “Cantieri di Felicità”, Osvaldo Danzi. Appassionato di Umane Risorse e tecnologie, inizia l’attività di recruiter nel 1997 e oggi collabora con SCR selezionando profili middle e top management. Editore di SenzaFiltro testata giornalistica specializzata sui temi del lavoro, è il fondatore della Business Community FiordiRisorse ed è fra gli ideatori di Nobìlita, il Festival della Cultura del lavoro.
Il 5 dicembre, nel suo intervento “Le Umane Risorse fanno domande precise“, fornirà interessanti spunti di riflessione sulla necessità per le aziende di rivedere le modalità di gestione delle risorse umane concentrandosi più sulla sostanza che sulla forma, così da riuscire a rispondere efficacemente alle nuove richieste delle persone.
Abbiamo intervistato Osvaldo Danzi per comprendere meglio chi sono le “Umane Risorse” e avere qualche anteprima sugli esempi che ci porterà nel suo intervento. Ecco come ci ha risposto.
Perché secondo te bisogna parlare di “Umane Risorse” e non di risorse umane?
Nell’anno della “sostenibilità” fortunatamente non ci siamo fermati all’ecosistema ambientale ma la voglia di sostenibilità ha iniziato a contaminare anche la vita aziendale e professionale. Da un lato permane una forte resistenza al cambiamento di cui le foto su Linkedin delle aziende che hanno sostituito le bottigliette di plastica con le borracce di alluminio ne sono piena testimonianza. Depistiamo la sostanza con un po’ di forma. Per fortuna c’è un controcanto che invece racconta (per esempio) un moltiplicarsi di aziende che sposano il modello BCorp (che significa attenzione al fatturato senza perdere di vista territorio, collaboratori, fornitori, formazione e restituzione di valori). Qualche libero pensatore (Michela Marzano, docente di Filosofia al dipartimento di scienze sociali alla Sorbona) ha iniziato a smascherare la Responsabilità Sociale d’Impresa vista come un modello comunicativo prima ancora che un modello etico e iniziano a “saltare” vision e mission senza alcuna visione e senza alcuna missione.
In questa narrazione troppe aziende spesso hanno rappresentato il vero ostacolo all’innovazione nelle aziende. Troppo attenti a conservare privilegi e controllo i manager hanno interpretato il proprio ruolo con la necessità di proceduralizzare ogni aspetto aziendale sacrificando l’aspetto umano, creativo, singolare di ogni individuo per concentrarsi sulla risorsa come “massa”. “Tutti sono utili, nessuno è indispensabile“ è stato un po’ lo spauracchio di certi uffici del personale degli anni 90.
Oggi sarebbe un suicidio parlare in questi termini ad un collaboratore e ancor di più a generazioni che hanno fra le caratteristiche principali proprio quelle dell’unicità e della necessità di riconoscimento e feedback costante.
In questa ottica ho coniato il termine “Umane Risorse” (vantando diversi tentativi di imitazione, tipo Settimana Enigmistica) per invertire, attraverso le parole, anche i modelli tradizionali di pensiero e riportare in primo piano l’Umanesimo come Risorsa.
Ci forniresti un’anteprima dei temi che affronterai nel tuo speech?
L’idea (ma magari poi all’ultimo momento la cambio) è quella di concentrarsi sulle domande che i nostri collaboratori ci fanno e che spesso restano disattese. Questo “purpose” che rappresenta un nuovo modello culturale a cui le aziende devono tendere. La Roundtable dei CEO dello scorso agosto ha messo in luce l’importanza di parlare a tutti gli shareholders aziendali e dunque di concentrarsi non solo sul fatturato, ma anche sulla restituzione del valore. Cercheremo di riflettere su questo tema che è il passe-partout per la crescita delle Persone.
Cosa vuol dire per te comprendere le domande delle Umane Risorse?
C’è una ricerca frenetica del Talento. Abbiamo trasformato le promesse che venivano espresse con definizioni semplici e chiare (come “selezione del personale”) con parole che tradiscono tali promesse. “Talent Acquisition Manager” è una di quelle parole che tradiscono la promessa in tutta la sua forma. Primo perché chi seleziona un talento non è quasi mai un manager e soprattutto non è quasi mai un talento. Come far selezionare un idraulico da un fisico. O un ingegnere da un idraulico. Ma soprattutto, nascondiamo dietro la parola talento semplici neolaureati senza esperienza ma con voti altissimi e magari qualche master, più o meno brillanti, che costano poco. E qui c’è il terzo tradimento.
Perché in questa operazione di selezione ci dimentichiamo sempre che un talento non si accontenta di un posto di lavoro, ma esige un percorso che nessuno sa disegnare in anticipo.
E alla fine ci troviamo in azienda Persone con grandi aspettative a cui non sappiamo dare risposta. Dall’altro lato invece, abbiamo Persone che continuano ad offrire tutto il loro potenziale tenendo fede alla loro promessa, ma che l’azienda non ascolta più, nascondendosi dietro risposte di facciata e testi scritti da autori ignoti che vivono nelle Corporate dietro le cui sottane capi poco responsabili scaricano le loro responsabilità (“sai, non sono io che decido. Dipendesse da me…”)
E oltre il danno, la beffa: non solo non otteniamo risposte alle nostre domande, ma siamo anche costretti a vedere le vetrine social delle nostre aziende che comunicano valori ed attenzione alle Persone di cui in azienda non c’è traccia.
Prima di pensare al “significato”, diventa legittimo chiederci se siamo coerenti con ciò che comunichiamo.
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