“Should I stay or should I go?”

 

Oltre ad essere il titolo di una delle canzone più famose dei “The Clash”, questa è anche una delle numerose domande che si pongono i nuovi arrivati inserendosi in un contesto di lavoro. Tutto, infatti, all’inizio appare estraneo e suscita quesiti, compreso il ficus che prende polvere vicino agli archivi, ed è proprio in queste situazioni che l’organizzazione può fare del suo meglio per rendere l’inserimento lavorativo del nuovo arrivato il più “accogliente” possibile. Soprattutto in questi momenti di grandi cambiamenti e “migrazioni” nel mondo del lavoro, un buon inserimento è il precursore di un rapporto migliore tra collaboratore e azienda e di una maggiore possibilità di rimanere stabilmente in quel contesto.

Per facilitare l’inserimento della persona, i manager possono mettere in atto quelle che in gergo “tecnico” vengono definite “Tecniche di Socializzazione Organizzativa”, definizione che racchiude al suo interno tutte quelle strategie formali e informali che facilitano l’acquisizione di capacità, valori e comportamenti da parte del nuovo arrivato, utili per un inserimento efficace nel nuovo contesto organizzativo.

Tra le diverse tecniche di socializzazione, quelle riconosciute come più efficaci dallo studio di Saks, Uggerslev e Fassina (2007) sono due:

  • Tecnica seriale: consiste nel favorire la socializzazione del nuovo arrivato attraverso l’affiancamento con un lavoratore senior che funge da modello e da mentore.
  • Tecnica dell’investitura: questa tecnica di socializzazione si focalizza sull’affermazione delle caratteristiche di personalità del nuovo arrivato, evitando di spingerlo ad un’eccessiva uniformità con le pratiche organizzative.

Perchè mettere in atto le strategie di socializzazione

Non tutti i manager sono disposti ad investire tempo e risorse nel favorire i primi passi dei nuovi arrivati, preferendo piuttosto aspettare che sia il lavoratore stesso a dimostrare di essere in grado di inserirsi in autonomia, ma i motivi per cui vale la pena investire fin da subito nei nuovi lavoratori sono diversi.

Innanzitutto, se le pratiche di socializzazione organizzativa risultassero inefficaci le conseguenze potrebbero essere serie, spingendo anche il nuovo arrivato a lasciare il lavoro. Ricerche recenti condotte su più di 400 organizzazioni, infatti, hanno dimostrato come una porzione sostanziale di nuovi arrivati abbandona il lavoro poche settimane dopo l’inserimento.

Oltre a sfavorire casi di turnover, le tecniche di socializzazione portano dei vantaggi in merito alla riduzione dell’ambiguità e dei conflitti di ruolo, l’aumento della soddisfazione e della performance lavorativa, il coinvolgimento organizzativo e il matching con il proprio ruolo.

In parole povere, questo significa un maggiore impegno verso la posizione ricoperta e una maggiore intenzione a rimanere nell’organizzazione.

Le tecniche di socializzazione sopracitate però non presentano la stessa efficacia per tutte le tipologie di lavoratori. Lo stesso studio di Saks, Uggerslev e Fassina, infatti, ha dimostrato come i nuovi arrivati con livelli di esperienza elevati risultano meno influenzabili dalle tecniche di socializzazione rispetto a nuovi lavoratori che hanno appena conseguito la laurea o che hanno poche esperienze di lavoro.
Questa differenza potrebbe essere legata non solo a una minore necessità da parte dei più esperti di essere socializzati all’ambiente lavorativo ma anche a una maggiore consapevolezza delle proprie competenze e delle proprie necessità organizzative che renderebbe meno necessarie tecniche di socializzazione formali.

In conclusione, è importante ricordare che la prima impressione conta sempre, anche in ambito organizzativo, e che specialmente nel caso di giovani nuovi arrivati, una socializzazione istituzionalizzata e ben strutturata può favorire il mantenimento di valide risorse all’interno dell’organizzazione e richiamarne altre dall’esterno.

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