Uno fra i primi esami del corso di laurea di Psicologia è quello di Psicologia Generale, dove, tra i tanti argomenti trattati, c’è anche la generalizzazione, un meccanismo che ha la funzione di “attenuatore di varietà degli elementi/esperienze” allo scopo di semplificarne la gestione. Quando si parla di apprendimento si fa riferimento alla generalizzazione per indicare la capacità a di reagire a stimoli simili in modo simile. La generalizzazione è quindi una caratteristica intrinseca dell’apprendimento che rende possibile categorizzare una novità. Tutto ciò serve a dare stabilità e coerenza al comportamento umano in un contesto molto variabile come quello della vita di ognuno. Ben venga quindi questa nostra capacità di semplificare le nostre percezioni al fine di individuare più velocemente possibili soluzioni riducendo le energie spese.
A distanza di tanti anni dal periodo universitario (ahimè!) qualche giorno fa, persa fra i pensieri, mi sono trovata a pensare a quanto la generalizzazione possa essere altresì pericolosa e quanto sia semplice farne ricorso. Purtroppo da tempo ormai il fenomeno degli sbarchi è sempre più diffuso e il telegiornale ci invia immagini di Persone che disperate fuggono dalla guerra, dalla fame e dalla mancanza di libertà per raggiungere il nostro, e altri, paesi. Queste immagini di uomini, donne e bambini sono strazianti, eppure è sempre più frequente sentire (e non solo al bar) commenti tipo “perché non se stanno a casa loro”, “vengono qui sperando nell’assitenzialismo”, “non hanno voglia di fare niente”, “anche noi dopo la guerra eravamo disperati ma abbiamo ricostruito” eccetera. Insomma fanno tutti così, lasciano il loro paese per venire a vivere alle nostre spalle. Certo perché una madre non vede l’ora di far salire il figlioletto su un barcone, un gommone, stipato di gente, senza cibo, senza acqua, senza bussola, nel nero della notte per fare una traversata, un barcone sul quale noi non saliremmo neanche per fare il river di Mirabilandia.
Come è possibile che così in tanti abbiamo perso la capacità di immedesimarci, di cercare di capire, mettendosi un pochino nei panni nell’altro, quanto dolore c’è dietro a certe scelte per far decidere ad una madre di rischiare la sua vita e quella del suo piccolo pur di andare altrove.
Quanto è semplice generalizzare, renderli tutti pigri e ladri? Quanto questo ci pulisce la coscienza senza che sia neanche più necessario usare la nostra curiosità per cercare di capire cosa succede a poca distanza dal nostro mondo? E ancora quanti messaggi riceviamo del tipo i politici sono tutti ladri, i giovani sono tutti viziati, non si impegnano più per raggiungere qualcosa tanto hanno tutto, non ci sono più valori.
E sempre lasciando vagare la mente, passo da questi aspetti sociali e politici alla mia quotidianità, al mio modo di essere e al mio lavoro.
Quanto io generalizzo? Quante volte non lascio che la curiosità mi faccia faticare un po’ per cogliere qualche sfumatura in più ma mi ancoro al già conosciuto per interpretare il mio mondo?
Io che mi ritengo progressista e aperta lo sono davvero? E dato che il mio mondo è anche il mio lavoro e dato che il mio lavoro è fare la selezione del personale, quanto questa “pigrizia mentale” può essere pericolosa? Quanto può ridurre la mia capacità di capire quel determinato contesto aziendale e quella determinata persona?
Quante volte posso pensare che quell’azienda è una realtà padronale e quindi…
Quante volte posso pensare che a fronte di diversi cambiamenti lavorativi quel candidato…sarà affidabile?
Quante volte un determinato abbigliamento, una determinata provenienza, un determinato percorso formativo mi possono portare a pensare che allora quella Persona sarà così.
Per formazione e per esperienza so che ciascuna organizzazione e ciascuna Persona rappresentano sistemi complessi, non riconducibili a semplificazioni, eppure sono sempre disponibile a fare lo sforzo di non ancorarmi a preconcetti per coglierne la complessità e spesso la bellezza?
Questa riflessione vuole essere semplicemente un’esortazione, prima di tutto a me, a non dare mai niente per scontato, a ricordarsi che per capire una persona, un problema, un’organizzazione, un evento a volte è necessario sospendere il giudizio e mettere un po’ da parte il proprio modo di interpretare il mondo.
È importante ricordarsi che la curiosità è un diritto e un dovere, ricordarci che ascoltare è necessario per capire, che l’ascolto richiede tempo.
Solo così sarà possibile svelare l’altro, coglierne le sfumature, i pregi, il sistema valoriale, i difetti, capire la persona e capire le persone dietro gli eventi.
Guardiamo con curiosità: forse avremo risposte diverse e inaspettate, forse più utili.
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