La cronaca di questi giorni spinge tutti noi a fare delle riflessioni su quanto anche il nostro ruolo di lavoratori, genitori, amici, familiari, imprenditori e dunque di individui possa essere importante nel gestire una certa “cultura” che fonda le sue radici sui pregiudizi, che poi generano comportamenti di devianza come appunto i recenti fatti di Fermo o della strage di Dallas.

Partiamo dai concetti che stanno alla base di determinati tipi di comportamento: lo stereotipo e il pregiudizio.  Alla base del pregiudizio c’è sempre uno stereotipo che per la psicologia sociale è la credenza o a un insieme di credenze in base a cui un gruppo di individui attribuisce determinate caratteristiche a un altro gruppo di persone; gli stereotipi assomigliano molto dunque a degli schemi mentali in base ai quali chi rientra in una determinata categoria avrà probabilmente le caratteristiche proprie di quella categoria.

La connotazione negativa di questa credenza è il pregiudizio e, pertanto, ritornando alla psicologia sociale, è l’opinione preconcetta concepita non per conoscenza precisa e diretta del fatto o della persona, ma sulla base di voci e opinioni comuni. Tale opinione ha la tendenza a modificare il comportamento, con la conseguenza di creare condizioni tali per cui le ipotesi formulate sulla base dei pregiudizi si verifichino (vedi la teoria delle profezie che si autoavverrano) oppure di volgere uno “sguardo selettivo” alle persone cercando solo le caratteristiche che giustifichino il pregiudizio.

Noi tutti siamo sottoposti a questi tipi di condizionamento che possono venire da ogni micro realtà che viviamo, anche quella lavorativa.

Le aziende sono delle realtà che nel corso degli anni grazie all’idea di imprenditori si sviluppano e si ramificano, prendono forma non solo nella loro realizzazione pratica delle varie aree (produzione, acquisti, amministrazione, commerciale ecc.) ma costruiscono anche una loro “cultura”. Quante volte capita di sentire come deve essere il candidato “ideale” e tante volte quell’“ideale” non necessariamente corrisponde solo a specifiche competenze tecniche o caratteriali, deve avere anche dei requisiti di fondo che toccano la sfera culturale della persona: luogo di nascita, religione e perché no l’orientamento sessuale. L’incontro con le aziende, che poi è bene precisare sono fatte da persone, ci pone prima di tutto in una modalità di ascolto per capire quale sia il tipo di cultura aziendale presente in quel contesto. Compresa la cultura, cosa si fa? È il nostro compito cambiare le opinioni e credenze o è meglio lasciar stare e trovare il candidato “ideale” per quel contesto?

Noi riteniamo che il lavoro di un Selezionatore non si fermi solo nel cercare questo ipotetico “ideale” ma che per favorire i nostri clienti sia opportuno, a piccoli passi, far comprendere che dei cambiamenti sono necessari ma anche utili.

Lavoriamo per portare nuove competenze alle aziende ed anche nuovi modi di essere che possano compenetrarsi con la cultura d’azienda e renderla più efficace ed efficiente.

Rispettare, integrare e motivare, questi sono i nostri principi, al di fuori di preconcetti e di assunti errati. Portare il nuovo significa anche fare in modo che il nuovo venga compreso ed ascoltato per la sua unicità e non per stereotipi massificati.
Crediamo che questo possa contribuire a rendere non solo il nostro lavoro più efficace ma che racconti anche della struttura valoriale che proponiamo ai nostri clienti per i quali vogliamo da sempre il meglio.

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