È impossibile ignorare il ruolo dell’intelligenza artificiale nella società, nel mondo del lavoro e nella gestione delle risorse umane. Non sembra, infatti, essere lontano il giorno in cui i colloqui selettivi saranno condotti da un robot e non più da un essere umano. Si tratta ovviamente di una provocazione, ma è indubbio che l’impatto delle nuove tecnologie nei processi di selezione dei candidati stia diventando di notevole interesse.
Parlare di intelligenza artificiale scatena spesso emozioni contrastanti. Subito ci vengono in mente scenari apocalittici e distopici in cui le macchine, costruite per servire l’uomo, si ribellano allo stesso generando un conflitto per la supremazia della specie e dove l’uomo diventa il responsabile della creazione di un ambiente destinato a distruggerci e non ad aiutarci.
Dall’altra parte l’AI, potrebbe rappresentare uno strumento in grado di facilitare e sostituire determinati processi dispendiosi e di routine, risultando funzionale al raggiungimento degli obiettivi.
In che modo sarà possibile gestire quest’integrazione uomo-macchina senza perdere di vista ciò che ci identifica come individui, ovvero abitudini, cultura e identità? Come potranno le nuove tecnologie migliorare la gestione delle risorse umane?
Applicazioni dell’Intelligenza Artificiale nella selezione dei candidati
L’ingresso della tecnologia nel mondo del lavoro ci ha messi di fronte, fino ad ora, quasi esclusivamente ad un processo di “sostituzione” dove funzioni precedentemente svolte dai singoli sono diventate appannaggio quasi esclusivo delle macchine, questo perché le parole chiave del progresso dovrebbero essere semplificazione e automazione dei processi. Oggi, invece, grazie all’ingresso dell’intelligenza artificiale, è possibile proporre una nuova esperienza di digitalizzazione.
Un esempio concreto? La selezione dei candidati.
Secondo Nathan Mondragon, psicologo e direttore informatico della HireVue, azienda che commercializza software per lo screening del personale, per trovare l’impiegato giusto è fondamentale concentrarsi sui dettagli. La società ha messo appunto un programma, utilizzato anche da Unilever e Goldman Sachs, che richiede ai candidati di rispondere a quesiti guardando dritto nell’obiettivo di una telecamera.
Nel frattempo, il software registra i cambiamenti appena percettibili della postura, espressione facciale e tono di voce. Al termine del processo il programma restituisce un punteggio che viene poi confrontato con quello che il programma ha già “imparato” dai dipendenti più efficienti.
L’idea di base è che un buon potenziale impiegato, assomigli molto ad un buon impiegato attuale, una modalità non utilizzabile da un intervistatore umano.
Chi si occupa di risorse umane ha manifestato però la necessità di bypassare, per alcuni aspetti, il modello tradizionale di valutazione del curriculum, perché il tempo impiegato a vagliare ogni singola candidatura si sta trasformando in un’attività routinaria e molto dispendiosa in termini di tempo. C’è anche il rischio che il cosiddetto “fattore umano” (opinioni e pregiudizi del selezionatore) possa spostare l’ago della bilancia dalla parte sbagliata, nonostante si cerchi di rimanere il più possibile imparziali.
L’AI si dimostra in grado, quindi, di aiutare chi si occupa di risorse umane in modi differenti:
– semplifica le operazioni fornendo soluzioni per l’organizzazione delle interviste attraverso la classificazione dei profili
– crea automaticamente database fondati sui dati acquisiti durante il primo contatto col candidato
– riduce drasticamente i tempi di selezione.
I cambiamenti in corso, anche imponenti, sono inarrestabili ed è per questa ragione che dobbiamo essere in grado di comprendere a fondo gli elementi distintivi e il vero valore dell’intelligenza umana.
Software vs Fattore Umano: precisione del calcolo e attendibilità dei risultati
Il software non ha consapevolezza né coscienza, per non parlare delle emozioni. La capacità di contestualizzare gli elementi di senso, garantire equilibrio emotivo e ragionevolezza nel decision-making, comprendere prendendosi le proprie responsabilità le conseguenze di una determinata scelta ed essere capaci di fornire risposte anche di fronte a situazioni ambigue, sono peculiarità dell’intelligenza umana che, per ora, l’intelligenza artificiale non è in grado di sostituire.
La tecnologia al servizio delle risorse umane deve crescere di pari passo e in reciproca armonia con l’essere umano. Anche lo psicologo Paul Ekman ci ricorda che il contributo umano è lo strumento più affidabile nella codifica e interpretazione del comportamento (in particolare quando si analizzano gli aspetti emotivi).
Avvalersi di un esperto capace di fornire consulenza in merito ai dati rilevati dai software FACS (Facial Ac-tion Coding System) per la codifica dei movimenti dei muscoli facciali creato nel ’78 da Ekman e Friesen, aumenta notevolmente la validità e attendibilità dei risultati. Comprendere a pieno le emozioni sembra essere ancora una prerogativa degli esseri umani, almeno per ora.
L’intelligenza artificiale, nell’ambito della selezione delle risorse umane, può davvero fungere da cognitive outsourcing per i recruiter, e dare loro l’opportunità di concentrarsi quasi esclusivamente sulla dimensione psicologica, demandando ai robot il lavoro più “sporco”, alienante e meno gratificante.
Mentre per quanto riguarda i candidati, per rendere più efficace e funzionale un processo ormai appesantito da una quantità sempre maggiore di domande, essa può velocizzare, attraverso l’uso di nuove applicazioni, il processo di candidatura rendendolo così più scorrevole.
Preso atto che nessuno può fermare il progresso e che esso non sempre costituisce un valore aggiunto per la società, ad oggi, avvalersi di questo strumento dalle molteplici potenzialità rappresenta un indiscutibile vantaggio, che ovviamente necessita di essere regolamentato legalmente e dal punto di vista etico; fino a quando gli esseri umani saranno in grado di tenere le redini di questa veloce transizione vi saranno benefici per entrambe le parti.
Approfondisci l’argomento con le Riflessioni di Stefania Suzzi, “Le verità nascoste”.
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